top of page

The Substance o di come ho riscoperto «le cannibalisme de soi-même»

To me, bad taste is what entertainment is all about. If someone vomits watching one of my films, it's like getting a standing ovation.

John Waters

Molte persone sostengono che per davvero la vita imiti l’arte e non viceversa, e sono sempre più convinta che questo sia vero. L’altro giorno ho finalmente potuto vedere il film The Substance, di Coralie Fargeat, con le magistrali Demi Moore e Margaret Qualley. Non solo ho provato una cartina di Tornasole di emozioni, un caleidoscopio di riferimenti camp, pop, vicini alla mia cultura e al mio gusto fino a ricordarmi di un mio vecchio lavoro.


Sono sempre stata interessata dall’idea che il femminile nella società contemporanea sia ancora così schiacciato dalla fisicità del corpo, e l’unica cosa che avverto quando mi avvicino a discorsi sul corpo femminile è la pesa delle vacche, le macellerie con i manifesti appesi con tutti i tagli possibili, vedo solo carne, sangue, organi che pulsano.

 

La proverbiale ricerca dell'eterna gioventù mariana, impossibile da raggiungere nella vita reale, e il senso di responsabilità nel rimanere costantemente la migliore versione di se stesse, nel 2009 portava me e milioni e milioni di altre ragazze a confrontarsi con l’orrore del corpo che cambia, mentre mi destreggiavo con le aspettative, io ho deciso di canalizzare tutto in un video d'arte.

 

Armata di forchette contro un treno, ho realizzato un progetto sul cannibalismo di se stesse, su come ci mangiamo, letteralmente, ci dividiamo, ci levighiamo, ci smussiamo da sole ma per non per noi stesse. Per un’identità ignota, chiamata la società o le persone, le altre donne, chi altro?


Nel video d’arte da me realizzato, poi prontamente censurato così come la mostra fotografica e l’insonorizzazione correlata, una ragazza ha delle strane convulsioni, il ventre segnato con i vari tagli di carne sulla pelle, estrae un fegato e lo morde, avendo convulsioni finchè non soccombe. Alle sue spalle un gigantesco specchio con su scritto col rossetto, La recherche éternelle pour la beauté c’est le cannibalisme de soi-même.


Quel fegato è chiaramente il suo e lei per tutto il video cerca di essere perfetta in ogni dettaglio. L’ossessione e la pazzia fusi con il mio proverbiale amore per il body horror di David Cronenberg, il cinema horror sud-coreano, il camp di John Waters, e infiniti altri riferimenti, sta lì per rendere disgustoso, repellente e inaccettabile ciò che lo spettatore vede. Perché adesso so che io e lo spettatore ci sentiamo nello stesso modo, sono in grado di traghettarlo nel mio percorso interiore e l’esperienza diventa condivisa.

 

Il male che ci facciamo per mantenerci vive e visibili nel mondo è straordinariamente interpretato in The Substance da Demi Moore, qui una vincitrice di un premio Oscar e conduttrice di un programma d’aerobica viene cacciata dal mondo dello spettacolo perché colpevole di aver compiuto 50 anni.


Consiglio vivamente a chiunque stia leggendo questo editoriale di correre al cinema a vedere The Substance quando uscirà il 30 ottobre, perciò non mi dilungherò a fare spoiler ed esegesi di un’opera così originale, bizzarra, grottesca e interessante rischiando di rovinarne la visione a qualcuno.

 

Quello che mi preme trasmettere è che le prime a massacrarci e imporci degli standard irraggiungibili e insani, siamo noi stesse. Questo in definitiva è ciò che mi ha sempre spaventato della mia identità femminile, che al di là di conoscenza, esperienza, crescita interiore, continui a giudicarmi e distruggermi dopo averlo fatto per tutta la mia vita.

 

Ci viene detto che per essere belle bisogna soffrire e che quando soffriamo per il primo ciclo mestruale diventiamo ‘donne’. Non credo ci sia molto da stupirsi nel ritrovarsi nelle storie di milioni di donne che quel l'accettazione al dolore, così perché l’ha deciso qualcuno, l’hanno introiettata in infinite modalità autodistruttive.

 

Il body horror è il genere perfetto per poter raccontare l’orrore del non controllare il proprio corpo, vederlo cambiare, vederlo brutto, storto, vederci vecchie e senza capelli. Rimanere atterrite di fronte al giudizio maschile, come nella magistrale scena finale in cui Margaret Qualley comincia a perdere i denti e si trova di fronte una pletora di uomini che sbavano a guardarle il costume di scena, The Substance lancia come acido addosso al suo pubblico la verità dell’orrore fisico e materiale dell’essere donna nel contemporaneo. (e grazie al cielo ci risparmia una ulteriore introspezione nella sfera della maternità, che risulta impossibile togliere dall’equazione dell’esistenza di una donna, ovvero praticamente sempre.)

 

Vorrei concludere in modo un po’ papale e chiedere a tutte noi di sorriderci allo specchio dopo aver visto The Substance, per darci una carezza, da noi a noi.

 

Commenti


bottom of page